FRANCO DEL ZOTTO's profile

Facciata della casa natale di Tina Modotti, 2012

The research work began in 2005, but the realization of the actual work took place in 2012. The work occupies the entire facade of the birthplace of Tina Modotti, in Via Pracchiuso 89 in Udine.She left her country as a teenager, forced, like many other emigrants, to survive. Arrived in America her life really began, she met various people who gave her the freedom to become the Tina Modotti woman and artist that we all know. The work is an "ideal" letter that tells the story of his life in frame to a community that has never recognized it for its value, as a symbol of identity for all those who give themselves in their doing (and in their give) to others without being recognized. The facade of Tina Modotti's birthplace is a work composed of words taken from the testimonies of those who knew and loved her, as well as hers (Weston, Poniatowska, Neruda, Zanier, etc...). Letters engraved on the lime and earth wall, poor materials like how poor she was when she left for America, how poor were the subjects she spoke about in her art. Letters engraved like the photographic engravings of his masterpieces. Engraved letters, upside down and distorted as was her way of presenting herself as a woman, as a militant and as an artist. Flipped to stop the viewer from reading, wondering why. Turned upside down to stop time, it is an "out of time" beat, an "extrasystole" to show the same thing from another point of view.
TINA MODOTTI È MORTA
"Tina Modotti, sorella, non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la rosa nuova.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, tua è la nuova terra:
ti sei messa un nuovo vestito di seme profondo
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura è la tua fragile vita:
d’ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma;
d’acciaio, linea, polline, si costruì la tua ferrea,
esile struttura.
Lo sciacallo sul tuo prezioso corpo addormentato
protende la penna e l’anima insanguinate
come se tu potessi, sorella, levarti
sorridendo al di sopra del fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti sfiorino
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non giunga l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai in pace.
Lo senti quel passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grandioso che viene dalla steppa, dal Don, dal freddo?
Lo senti quel passo fiero di soldato sulla neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
E passeranno un giorno dalla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri appassiscano;
passeranno per vedere quelli di un giorno, domani,
dove stia ardendo il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso dove andavi tu, sorella.
Ogni giorno cantano i canti delle tue labbra
sulle labbra del popolo glorioso che tu amavi.
Col tuo cuore valoroso.
Nei vecchi focolari della tua patria, sulle strade
polverose, una parola passa di bocca in bocca
qualcosa riaccende la fiamma delle tue adorate genti,
qualcosa si sveglia e comincia a cantare.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il nome tuo
noi che da ogni luogo delle acque e della terra
col tuo nome altri nomi tacciamo e pronunciamo.
Perché il fuoco non muore."
Pablo Neruda
Elena Commessatti “Ci eravamo lasciati in passeggiata alla ricerca di cio’ che resta delle mura medievali della città. Avevamo cominciato il racconto partendo dal presupposto che dobbiamo imparare a immaginare. Evocare. Ed ora eccoci qua, davanti all’eco di una delle tredici porte dell’ultima cerchia muraria, Porta Pracchiuso, scomparsa sul finire dell’Ottocento, esattamente nel 1899.
Oggi, in virtù di “una soffiata”, voliamo improvvisamente dentro un’altra storia. Così saliamo su un’impalcatura, all’ultimo piano di una nota casa di via Pracchiuso, forse la più famosa; San Valentino ci perdoni se passa in secondo piano.
Siamo appiccicati e sospesi alla casa natale di Tina Modotti, numero civico 89 (ex 113, come ci dice Gianfranco Ellero, lo studioso degli anni friulani di Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti), e tra pochissime ore, questioni di giorni, calerà il sipario, ossia l’impalcatura, dal lavoro che l’artista Franco Del Zotto sta realizzando sulla facciata della casa dell’udinese più celebre al mondo.
Chi può smentirmi su questo? Attualmente Tina Modotti è o non è l’udinese più famosa che abbiamo? E noi abbiamo forse un museo a lei dedicato che racconti le sue origini ai visitatori che a lei si interessano -perché a lei si interessano tutti- basti ricordare la cantante Madonna che ha in casa l’arcinoto e superquotato “quadro delle rose”? Chissà perché questo destino. Forse perché era donna, donna comunista?  Una che ha preferito il mondo a noi, e dunque noi soffriamo per “il deficit di accudimento”?  Una che ha vissuto la vita troppo intensamente per “i riservati” parametri friulani, tanto da suscitare invidie, ripensando alle nostre cose personali non realizzate? Chissà.
Certo che nella sua vita c’è proprio tutto, compresa la solitudine e il mistero intorno alla morte: come non essere gelosi di tale potenza dentro il grumo di passione che lei suscitava intorno a sé. “Tina è acqua, è spiazzante quanto ti fugge via.”, questo è il pensiero di Franco Del Zotto, protagonista della puntata: l’ultima artistica voce a lei dedicata.
Ecco perché oggi il Genius loci è speciale, specialissimo, anche a chi non importa quanti movimenti di pensieri belli abbia suscitato il moto vitale di Tina Modotti, l’udinese partita da qui – sola- a 17 anni in treno verso Genova e poi verso l’America con il destino di povera emigrante cucito addosso, lei che faceva anche la sarta. Tina, Tinissima, morta malamente, sola, dopo una serata di freddi incroci con il marito del momento, lo stalinista e dogmatico Vittorio Vitali. Partita in un taxi nel buio di Città del Messico, a 46 anni e schizzata via dalla storia, per rientrarci subito dopo e per sempre. Una vicenda da film che sempre falsa tanto è melò. “Veri” sono i suoi scatti fotografici, inquadrano bambini e fiori. Accatastano esteticamente cose come le parole dell’Ulisse di Joyce che lei aveva letto. Forse questa è una delle suggestioni che vi rimarranno quando vi metterete tra pochi giorni davanti al lavoro di Franco del Zotto.
La quasi totale parete della casa, dal tetto alla porta, in tutta la sua larghezza, è stata da lui coperta di lettere e parole, anche straniere; ne state godendo un pezzo oggi in foto, grazie alla gentilezza anticipatrice dell’autore. Lettere che girano lo sguardo, parole ribaltate desiderose di attenzione. Un foglio con la vita, tanta, di Tina Modotti che ritorna al suo archetipo del luogo, dove si nasce, e in questo caso in pieno agosto 1896, e corre cronologicamente fino alla 1942, nella pagina scritta da Franco Del Zotto, artista friulano da tempo impegnato in Italia in pubbliche installazioni con protagoniste le parole incise. Questo è un bassorilievo composto da vari intonaci, lavorato negli anni nel suo studio di Varmo e poi terminato in loco. Un mare di lettere che ruotano, nella perfezione delle righe ideali tirate tra gli elementi architettonici, i quali volutamente scompaiono nella semantica della selezione. Un’opera che l’artista insieme a Vera Fedrigo, amorevole assistente, progetta dal 2005. “Fui coinvolto dall’architetto responsabile del restauro, Francesco Mattini. Mi disse: ‘te la senti di fare un lavoro su questa parete?’ ” La risposta pare ovvia, e invece, ascoltandola ci sorprende, noi che per amore di Tina avremmo subito detto di sì. “E’ un onore,” risposi, “è un onore non solo per Tina, ma perché questo è un luogo dove si fa del bene.” Colpiti, noi non conoscevamo perfettamente la vicenda: questo è un asilo notturno, gestito dalla Caritas. E’ alla Caritas che si deve il restauro di un luogo di memorie che andava in briciole di laterizio, vinto dal tempo e dal disintersse. “Ora è una casa per chi non ha casa”, interviene Vera Fedrigo, anche lei, come Del Zotto, in tuta bianca, mentre ci versa il caffè al tavolo-mensa dove gli ospiti, ora assenti -quanti spiriti del luogo in questi posto-, al momento 23, cenano e pernottano dalle sette di sera alle sette del mattino. Poi vanno in cerca di luce, per ricostruirsi la vita, battuta dalla fatica della modernità. “Non c’è sempre sintonia tra quello che si fa e quello si ama.” ci racconta Del Zotto, con un tono di voce così pacato che fa invidia al nostro frenetico parlare. “Quello che sto facendo qui ha un senso costruttivo al di fuori del mio lavoro e delle mie scelte.” “Mi sento piacevolmente a servizio di qualcosa più grande, come se uno spirito guida abbia tracciato il suo disegno.” L’umiltà di questo sensibile autore calza perfettamente all’ontologia raccolta tra le mura. Mi sembra ora il momento giusto per riportarvi una traduzione dall’inglese realizzata da Ellero. E’ una dichiarazione rilasciata dalla Modotti nel 1932 e trovata negli archivi moscoviti del Comintern, credo da Gianni Pignat. E’ relativa all’origine e alla posizione sociale della “comunista” Modotti. “Le condizioni della mia famiglia sono sempre state molto precarie… Cio’ significa che noi dovemmo vivere praticamente di carità.”
Il testo sulla parete della casa di Tina Modotti:
ZANIER. DA NÔ LA INT NAS LOSTÈS / DA NÔ / NO ‘ND’È CE FÂ / MA LA INT / NAS LOSTÈS / CUSSÌ SI CRÈS / COME I GJÒCUI / IN LIBERTÂT / TRA LAS CÒTULAS / DAS MÂRIS / E LAS RISCLAS / DAI PEZ / E QUANT / CH’A SI CAPÌSS / BISUGNA LÂ.
T.M. PLENIPOTENTIARY / I LIKE TO SWING FROM THE SKY / AND DROP DOWN ON EUROPE / BOUNCE UP AGAIN LIKE A RUBBER BALL / REACH A HAND DOWN ON THE ROOF  OF THE KREMLIN / STEAL A TILE / AND THROW IT TO THE KAISER. / BE GOOD; / I WILL DIVIDE THE MOON IN THREE PARTS / THE BIGGEST WILL BE YOURS. / DON’T EAT IT TOO FAST.
T.M. A E.W. SPERO, EDWARD, CHE TU ABBIA FATTO UNA BELLA RISATA QUANDO HAI SENTITO CHE MI AVEVANO ACCUSATA DI AVER PARTECIPATO AL TENTATIVO DI UCCIDERE IL PRESIDENTE ORTIZ RUBIO <<CHI L’AVREBBE MAI PENSATO EH? UNA RAGAZZA COSÌ GENTILE CHE FACEVA FOTOGRAFIE COSÌ CARINE DI FIORI E BAMBINI>>.
PONIATOWSKA. PER TUTTA LA NOTTE, LE TEMPIE LE HANNO PULSATO CON TANTA FORZA DA FARLE SPERARE CHE ESPLODESSERO, DANDOLE UN PO’ DI SOLLIEVO. ALLORA L’AVR EBBERO DEPOSTA ACCANTO A JULIO. E INVECE, ECCOLA LÌ, ANCORA VIVA.
<< LA PREGO DI RISPONDERE ALLA DOMANDA. TINA  È IL SUO VERO NOME?>>  << IN REALTÀ È ASSUNTA, MA MI CHIAMO TINA.>> TINA RICORDA CHE SUA MADRE LA CHIAMAVA TINISSIMA. << NON HA ALTRI NOMI?>> /<<ASSUNTA ADELAIDE LUIGIA…>>  << NON CE N’È TRACCIA NELL’INCARTAMENTO. E IL SUO COGNOME?>>  << MODOTTI>>  << LA PREGO DI SILLABARLO PERCHÉ LO SI POSSA REGISTRARE. E IL COGNOME DI SUA MADRE DA NUBILE?>> <<MONDINI>>  ALL’IMPROSSIVO, TINA NON È UNA FOTOGRAFA. NON È NULL’ALTRO CHE UN COGNOME CHE VIENE PRONUNCIATO CON DIFFICOLTÀ, CON INDIFFERENZA, QUASI CON DISGUSTO, OGNI LETTERA A SOTTOLINEARE IL FATTO CHE LEI È UNA STRA-NIE-RA…
…<<COMPAGNA L’INTERROGATORIO È FINITO>>. TINA TOGLIE DALLA PANCA QUEL SUO SACCO DI CARNE E OSSA … L’HANNO A TAL PUNTO SVUOTATA, CHE NO N LE RIESCE NEPPURE DI ASSAPORARE LA PROPRIA SOFFERENZA … QUANDO SI RITROVA IN STRADA, È COLPITA DALLA CERTEZZA CHE NULLA DI QUANTO LE ACCADE ABBIA UNA QUALCHE IMPORTANZA; IN REALTÀ, È LEI A NON ESSERE IMPORTANTE. LE SUE IDEE, CHE ORMAI SONO VECCHIE DI QUASI DIECI ANNI, ESERCITANO SU DI LEI UNA SORTA DI CONTROLLO IPNOTICO: NON LE RICONOSCE NEPPURE COME PROPRIE. CREDE PER INERZIA. DESIDERA SOLO BUTTARSI SUL LETTO…
UNA SETTIMANA DOPO, TINA CONOSCE IL RISULTATO DELL’INTERROGATORIO.L’HANNO FATTA AVANZARE LUNGO LA SCALA GERARCHICA E ADESSO NON È UNA SEMPLICE MILITANTE MA UNA SPECIE DI CAPO.
P.NERUDA. PURO ES TU DULCE NOMBRE, PURA ES TU FRÁGIL VIDA: / DE ABEJA, SOMBRA, FUEGO, NIEVE, SILENCIO, ESPUMA; / DE ACERO, LÍNEA, PÓLEN, SE CONSTRUYÓ TU FÉRREA, / TU DELGADA ESTRUCTURA.
EL CHACAL A LA ALHAJA DE TU CUERPO DORMIDO / AÚN ASOMA LA PLUMA Y EL ALMA ENSANGREANTADAS / COMO SI TÚ PUDIERAS, HERMANA, LEVANTARTE, / SONRIENDO SOBRE EL LODO…
T.M. A E.W.  È TARDISSIMO ADESSO E MI SENTO ESAUSTA DALL’INTENSITÀ DEI SENTIMENTI. MI SI CHIUDONO GLI OCCHI MA C’È UNA GIOIA SEGRETA PER LE ORE CHE SARANNO ANCORA NOSTRE
Presenza di Tina Modotti
a Vittorio Vidali, comandante Carlos
Io sapevo di te, Tina Modotti,
il tuo nome prezioso, la tua grazia,
la sottile, dolcissima presenza,
prima assai di vederti, d’incontrarti
in qualche notte di guerra, o di mattina
nel sole madrileno, in quei giorni
quando sorgeva il Quinto Reggimento
germogliando come immensa spiga
che si apriva sui campi di battaglia.
Ti vidi appena. Ma è bastante
ricordarti sapendo ciò che eri:
l’umano fervore delle fotografie,
tristi visi del Messico, paesaggi,
occhi d’amore per fissare cose.
Tu vivi fra tutti, non è giusto
pensarti aliena da nessuna terra,
la tua terra è nell’aria che ci dona
la fortunata luce del tuo esempio.
È vero. Non sei morta. Tu non dormi
perché toccasti il fine che speravi.
Dammi la mano, sorella, camminiamo.
Oggi tu parli qui. Vieni. Ascoltiamo.
Rafael Alberti, luglio 1973
Facciata della casa natale di Tina Modotti, 2012
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