Dico sempre che se sapessi utilizzare le parole, non penserei per immagini. Delle parole odio il possibile fraintendimento. Talvolta si è così insensibili. Eppure non esistono persone insensibili, ma soltanto persone che hanno perso la propria sensibilità. Ecco, questo è un caso particolare in cui la parola diventa un necessario supplemento per comprendere ciò che è avvenuto in queste foto. 


Prima di tutto c’è stato un incontro. 

I fatti di cronaca degli ultimi giorni e mesi parlano da soli: depressione, suicidi, colpe.

Al centro ci siamo noi, i giovani, il capro espiatorio. Persone a cui è stato detto chi sono prima ancora di capire CHI FOSSERO, persone a cui è stato detto come essere, prima ancora di capire come AVREBBERO VOLUTO ESSERE. Al di là di giusto e sbagliato, siamo sempre più distanti, sospesi in uno stato di incoscienza che ci ha fatto dimenticare il significato di parole come “comunità”, “connessione”, “empatia”, “sicurezza”. 

E questo progetto di certo non si proponeva di creare tutto ciò, ma di dimostrare che ciò è ancora possibile, che sotto i chili di sabbia sotto i quali ci hanno sepolto, il seme è ancora lì pronto per crescere, che siamo ancora capaci di amarci se abbiamo il coraggio di esporci. 


I ragazzi che hanno partecipato al progetto hanno compilato un questionario il giorno prima. Le risposte sono state scritte su carta e portate all’incontro durante il quale sono state lette ad alta voce. Dire che sia stato speciale è poco. Ho visto quanto ognuno di noi avesse soltanto bisogno di un’occasione e dell’ascolto adeguato per essere sé stesso. Alla fine, eravamo così distrutti dai nostri pensieri che abbiamo fatto una pausa di due ore. I ragazzi avevano dai 17 ai 30 anni. 

Una delle ultime domande è stata “vuoi essere il corpo del messaggio dell’altro?” e, dal momento che la risposta è stata quasi all’unanimità “si”, le foto sono nate come elaborazione materiale del sentire comune, dove la pittura è voluta intervenire sulla collettività mettendo in evidenza le peculiarità individuali. 

Oggi ORGANICA ha creato un brevissimo momento di LIBERTÀ, che spero sia destinato a durare dentro di noi e a rendere la nostra crescita meno dolorosa. Per questo motivo è un progetto a lungo termine. Ci saranno altri incontri, accessibili a tutti. E chissà, forse, un giorno sarò e saremo pronti ad accogliere anche gli adulti. Per adesso però restiamo come i bimbi sperduti sull’isola di Peter Pan, dove prima di tutto tentiamo di trovare noi stessi.
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